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Fantasia d'Amore: Amore materiale
Fantasia d'Amore:
Amore materiale
Orlando di LASSO (c1532-1594)
“Matona mia cara”
per (doppio) quartetto vocale
Nei secoli del Rinascimento, per effetto del movimento culturale denominato Umanesimo, che aveva decisamente attenuato gli slanci religiosi del Medioevo, furono molti i poeti e i musicisti che si dedicarono alla composizione di canzoni ispirate a un amore assai meno nobile di quello lodato dai trovatori. L’invenzione della stampa e la maggior diffusione dei libri avevano fatto sì che la lettura e la pratica del canto venissero intese da un sempre maggior numero di persone non solo come occasioni di elevazione spirituale, ma anche e soprattutto come occasioni di svago. Le donne angelicate, insomma, avevano fatto il loro tempo; così, accanto a quello puro dei versi di Dante e Petrarca, si cominciò a celebrare anche un amore di genere assai più materiale.
Un esempio eloquente di questa nuova moda letteraria e musicale si trova in una composizione polifonica del maestro fiammingo Orlando di Lasso. Al pari di tutti coloro che vissero nel XVI secolo (tanto più se viaggiando instancabilmente come lui fece), anche a questo grande musicista capitò certo di imbattersi in quei campioni di spacconeria che erano i soldati di ventura. Fra questi rozzi mercenari, che allora infestavano l’Europa, moltissimi appartenevano al corpo germanico dei lanzichenecchi, soldatacci vestiti in modo assai pittoresco che abbiamo motivo di credere non dovessero distinguersi per particolare delicatezza nel trattare con il gentil sesso.
La composizione di Orlando di Lasso inserita nella nostra antologia sonora è un pezzo cantato in uno scombiccherato italiano. L’effetto che se ne ricava ci fa pensare alla nostra lingua adattata alle misere capacità espressive di uno zoticone tedesco d’altri tempi che voglia darsi un po’ di tono mentre adesca una contadinotta. In pratica è la comica serenata di un lanzichenecco, che canta sotto le finestre di una bella popolana scelta come preda d’amore. Eccone i primi versi:
Nei secoli del Rinascimento, per effetto del movimento culturale denominato Umanesimo, che aveva decisamente attenuato gli slanci religiosi del Medioevo, furono molti i poeti e i musicisti che si dedicarono alla composizione di canzoni ispirate a un amore assai meno nobile di quello lodato dai trovatori. L’invenzione della stampa e la maggior diffusione dei libri avevano fatto sì che la lettura e la pratica del canto venissero intese da un sempre maggior numero di persone non solo come occasioni di elevazione spirituale, ma anche e soprattutto come occasioni di svago. Le donne angelicate, insomma, avevano fatto il loro tempo; così, accanto a quello puro dei versi di Dante e Petrarca, si cominciò a celebrare anche un amore di genere assai più materiale.
Un esempio eloquente di questa nuova moda letteraria e musicale si trova in una composizione polifonica del maestro fiammingo Orlando di Lasso. Al pari di tutti coloro che vissero nel XVI secolo (tanto più se viaggiando instancabilmente come lui fece), anche a questo grande musicista capitò certo di imbattersi in quei campioni di spacconeria che erano i soldati di ventura. Fra questi rozzi mercenari, che allora infestavano l’Europa, moltissimi appartenevano al corpo germanico dei lanzichenecchi, soldatacci vestiti in modo assai pittoresco che abbiamo motivo di credere non dovessero distinguersi per particolare delicatezza nel trattare con il gentil sesso.
La composizione di Orlando di Lasso inserita nella nostra antologia sonora è un pezzo cantato in uno scombiccherato italiano. L’effetto che se ne ricava ci fa pensare alla nostra lingua adattata alle misere capacità espressive di uno zoticone tedesco d’altri tempi che voglia darsi un po’ di tono mentre adesca una contadinotta. In pratica è la comica serenata di un lanzichenecco, che canta sotto le finestre di una bella popolana scelta come preda d’amore. Eccone i primi versi:
Matona mia cara,
mi fòllere canzon
cantar sotto finestra;
lanze bon compagnon!
Don, don,don, diri, diri,
don, don, don, don! (…)
Verità d'Amore : Maria e Carlo
Verità d'Amore:
Maria e Carlo
Carlo GESUALDO da Venosa (c.1560-1613)
“Felicissimo sonno” dal Quinto Libro de’ Madrigali
per quintetto vocale
Carlo GESUALDO da Venosa
(c.1560-1613)
“Felicissimo sonno”
dal Quinto Libro de’ Madrigali
per quintetto vocale
Carlo Gesualdo da Venosa era un principe lucano che, assai più che di arte militare e di politica, si intendeva di musica. Era un dilettante di eccezionale talento: cantava con abilità ammirevole, ma soprattutto componeva con straordinaria maestria. Nei palazzi in cui abitualmente risiedeva, ora a Napoli ora nei propri possedimenti di Venosa, in Basilicata, organizzava raffinati intrattenimenti musicali riservati a piccole cerchie di nobili ascoltatori. Teneva inoltre al proprio servizio uno stampatore privato, cui spettava il compito di pubblicare (anonimi, come imponeva il buon gusto aristocratico di allora, e destinati a pochi intenditori) i madrigali a più voci a cui il suo estro inventivo dava forma in uno stile personalissimo, assolutamente inconfondibile. Nel 1586 Carlo Gesualdo sposò Maria d’Avalos, una cugina che gli era maggiore di qualche anno e la cui “divina bellezza” aveva conosciuto l’onore dei versi di più d’un poeta. Il matrimonio fra i due non sortì tuttavia l’auspicato esito felice ed ebbe vita brevissima. A quattro anni dalla celebrazione delle nozze, il cuore dell’avvenente Maria fu conquistato da un “dongiovanni” proveniente da un’altra grande famiglia aristocratica del tempo. Il suo nome era Fabrizio Carafa, duca di Andria. Maria l’aveva conosciuto durante una festa da ballo e se ne era immediatamente invaghita. Scoperta la tresca fra la moglie e l’avversario in amore, Carlo attese il momento propizio per dare corso a propositi di vendetta meticolosamente premeditati e la notte del 26 ottobre 1590, nel proprio palazzo di Napoli, aiutato dal sinistro soggetto che gli faceva da consigliere personale (tale Fabrizio Adinolfi, un nano deforme detto “’o prevetuccio”), uccise i due amanti a colpi d’archibugio.
I madrigali di Carlo Gesualdo da Venosa sono dominati dal tema dell’amore; la loro cupa elaborazione musicale è irta di difficoltà per chi si impegni ad eseguirli: ascoltandoli attentamente, ci si fa un’idea immediata della mente tetra e contorta da cui furono concepiti. In taluni casi è lo stesso testo poetico scelto dal compositore a preannunciare l’oscurità espressiva della pagina polifonica che ne risulterà, una volta trasformata in canto. Lo si nota nel pezzo da noi assunto come esempio, una pagina tratta dal Quinto libro dei madrigali a cinque voci stampato nel 1611:
Carlo Gesualdo da Venosa era un principe lucano che, assai più che di arte militare e di politica, si intendeva di musica. Era un dilettante di eccezionale talento: cantava con abilità ammirevole, ma soprattutto componeva con straordinaria maestria. Nei palazzi in cui abitualmente risiedeva, ora a Napoli ora nei propri possedimenti di Venosa, in Basilicata, organizzava raffinati intrattenimenti musicali riservati a piccole cerchie di nobili ascoltatori. Teneva inoltre al proprio servizio uno stampatore privato, cui spettava il compito di pubblicare (anonimi, come imponeva il buon gusto aristocratico di allora, e destinati a pochi intenditori) i madrigali a più voci a cui il suo estro inventivo dava forma in uno stile personalissimo, assolutamente inconfondibile. Nel 1586 Carlo Gesualdo sposò Maria d’Avalos, una cugina che gli era maggiore di qualche anno e la cui “divina bellezza” aveva conosciuto l’onore dei versi di più d’un poeta. Il matrimonio fra i due non sortì tuttavia l’auspicato esito felice ed ebbe vita brevissima. A quattro anni dalla celebrazione delle nozze, il cuore dell’avvenente Maria fu conquistato da un “dongiovanni” proveniente da un’altra grande famiglia aristocratica del tempo. Il suo nome era Fabrizio Carafa, duca di Andria. Maria l’aveva conosciuto durante una festa da ballo e se ne era immediatamente invaghita. Scoperta la tresca fra la moglie e l’avversario in amore, Carlo attese il momento propizio per dare corso a propositi di vendetta meticolosamente premeditati e la notte del 26 ottobre 1590, nel proprio palazzo di Napoli, aiutato dal sinistro soggetto che gli faceva da consigliere personale (tale Fabrizio Adinolfi, un nano deforme detto “’o prevetuccio”), uccise i due amanti a colpi d’archibugio.
I madrigali di Carlo Gesualdo da Venosa sono dominati dal tema dell’amore; la loro cupa elaborazione musicale è irta di difficoltà per chi si impegni ad eseguirli: ascoltandoli attentamente, ci si fa un’idea immediata della mente tetra e contorta da cui furono concepiti. In taluni casi è lo stesso testo poetico scelto dal compositore a preannunciare l’oscurità espressiva della pagina polifonica che ne risulterà, una volta trasformata in canto. Lo si nota nel pezzo da noi assunto come esempio, una pagina tratta dal Quinto libro dei madrigali a cinque voci stampato nel 1611:
Felicissimo sonno
che ne le luci di madonna vivi
e noi di luce privi,
deh, con un sogno messaggier le mostra
l’afflitta anima nostra!
Fa che in partir da lei pietà vi resti
e pietosa si desti.
Danilo Faravelli Fantasie d'Amore Love Maria e Carlo Orlando di Lasso Storie Verità d'Amore
Carissimi, ben trovati e buon anno!
Qual profondita’ (anche timbrica) quest’ultimo legato di un anno singolare invero!
(…e che il nuovo non ne sia epigono, ma, dopo avercene mosrato la cesura nell’Epifania, se lo porti davvero via).